“Dark”: viaggiare nel tempo, tra filosofia e fantascienza

L’ormai vasto mondo delle serie tv originali Netflix comprende un’ampia varietà di generi: dramma, azione, commedia, animazione, horror… Senza entrare in discussioni sul rapporto quantità/qualità, che meriterebbero un articolo a parte (…e no, non parliamo solo del tracollo della quarta e quinta stagione di “Black Mirror”), ci limitiamo a dire, con felina decisione, che “Dark” è tra le migliori che siano mai state prodotte da Netflix e crediamo che manterrà questo primato ancora a lungo.

[Attenzione: da qui in poi…spoiler!]

Prodotta in Germania per la regia di Baran Odar (suo ideatore assieme a Jantje Friese), la serie ha debuttato il 1° dicembre 2017 e da pochi giorni (27 giugno 2020) è disponibile la terza e ultima stagione. La trama, molto complessa, si sviluppa su più piani temporali nella città tedesca di Winden, cresciuta attorno a una centrale nucleare: il presente (2019), durante le indagini sulla scomparsa di Erik Obendorf; il passato (1986), anno di un’altra sparizione, quella del giovane Mads Nielsen, mai ritrovato; il 1953, anno di costruzione di una macchina del tempo da parte dello scienziato H. G. Tannhaus. Le tre linee cronologiche, estese in seguito fino al 1888 e al 2052, seguono le quattro famiglie protagoniste (i Kahnwald, i Nielsen, i Doppler e i Tiedemann), unite tra loro da complicati legami di parentela proprio a causa dell’esistenza di un collegamento spaziotemporale nelle grotte vicino alla centrale nucleare di Winden: un corridoio che alcuni personaggi, in particolare Jonas Kahnwald (interpretato da Louis Hofmann, Andreas Pietschmann e Dietrich Hollinderbaum) e Claudia Tiedemann (Gwendolyn Göbel, Julika Jenkins e Lisa Kreuzer), percorrono più volte, influenzando gli avvenimenti del passato.

Nella prima stagione la trama era comprensibile, benché con la necessità di qualche pausa di riflessione tra un episodio e l’altro: il tutto grazie anche all’ottimo lavoro di casting da parte della produzione, capace di rendere riconoscibile ogni personaggio anche se più vecchio di trent’anni. La seconda ha aggiunto complessità e, nella terza, ci troviamo davanti a un altro mondo, concatenato al primo loop che vedeva Mikkel Nielsen, fratello del grande amore di Jonas, Martha, intrappolato nel 1986 per diventare, anni dopo, Michael, padre suicida dello stesso Jonas.

Senza scendere in altri dettagli (vi assicuriamo che, alla seconda visione, le prime due stagioni sono molto più semplici a capirsi che a spiegarsi) possiamo dire che il nodo, punto di congiunzione tra i due mondi (e le relative epoche dove agiscono i vari personaggi) è percorso da più versioni di Jonas (giovane e adulto) e Claudia (adulta e anziana), ma anche dal freddo Noah, da Ulrich Nielsen, intrappolato nel 1953 dopo aver cercato di uccidere il bambino che ritiene essere il responsabile, da adulto, della scomparsa del fratello Mads e del figlio Mikkel… I mondi sono uniti da una precisa successione di eventi che, nonostante gli sforzi, nessuno dei viaggiatori sembra in grado di modificare: è impossibile cambiare il corso del tempo perché ogni azione è in realtà già accaduta e il passato, immutabile, è legato a presente e futuro in uno strettissimo rapporto causa-effetto che neppure i viaggiatori con più esperienza, come Claudia Tiedemann, Adam ed Eva (rispettivamente Jonas Kahnwald e Martha Nielsen, da anziani), sembrano essere in grado di variare, tantomeno di sciogliere.

Poster della prima stagione (USA) - Fonte DarkWiki

In questa estrema complessità si aggiunge la lotta, destinata per i predetti motivi a non finire mai, tra due opposte fazioni, identificate in modo sbrigativo con “il bene e il male”, con tanto di motto in latino (“Sic mundus creatus est” ed “Erit lux”): il gruppo di Adam, che vuole a ogni costo cancellare il nodo, e quello di Eva, deciso a preservarlo. Tra le due fazioni vagano, come scritto prima, gran parte dei personaggi, compresi Jonas e, come si scopre nella terza stagione, Martha (l’altra Martha, perché quella del mondo dal quale proviene Jonas è morta alla fine della prima).

Poster della seconda stagione - Fonte DarkWiki

Nonostante una tale complessità, “Dark” ha avuto in poco tempo un grande successo, complici la colonna sonora (di Ben Frost), la fotografia (di Nikolaus Summerer) e la scenografia (di Udo Kramer): una grande attenzione ai dettagli, un’atmosfera cupa, personaggi ben caratterizzati, con luci e ombre nonostante la scelta di inserire, come abbiamo accennato sopra, la solita “lotta tra bene e male”, un’idea per fortuna accantonata in fretta e non senza una certa dose di ironia. Le prime due stagioni hanno trovato il sostegno di un agguerrito gruppo di fan che in poco tempo hanno condiviso il complesso albero genealogico che collega tra loro quasi tutti i personaggi: la terza, al momento in cui scriviamo, ha spiazzato chiunque con l’introduzione di un altro mondo collegato al primo e dal quale proviene l’(anti)eroina della stagione, Martha Nielsen (Lisa Vicari, Barbara Nüsse, Nina Kronjäger).

Senza pretendere che le nostre osservazioni sui social network abbiano validità statistica, il commento più diffuso, in declinazioni più o meno colorite, è stato “non ci capisco più nulla”.

Per quanto ci riguarda, pensiamo che il grande valore di “Dark”, oltre alla qualità intrinseca della serie, sia aver obbligato il pubblico a ripensare all’identificazione di una “bella storia” con una “bella trama” (e di “bella trama” con “trama che io capisco e che procede come voglio io”).

Chiariamo: un’idea originale è uno degli ingredienti di una storia appassionante. Tuttavia, non è certo l’unico, e, per valutare una serie tv, bisogna considerare altri fattori, come la regia, il montaggio, la bravura degli attori, la colonna sonora, la fotografia, in alcuni casi la qualità degli effetti speciali. Invece, purtroppo, nell’era del binge-eating di episodi, degli spoiler e della gara ai meme sulle battute più divertenti (quello che ha azzoppato Agatha Van Helsing in “Dracula”, per dire…) certe cose si sono perse di vista. Noi per primi abbiamo divorato episodi su episodi di serie che ci hanno “presi bene” (come siamo gggiovani) e ci siamo rimasti male alla scoperta casuale della rivelazione-importante-alla-quale-non-eravamo-ancora-arrivati (motivo dell’“allerta spoiler” all’inizio di ogni nostra recensione). Ma “Dark”, una volta attirati gli spettatori con una sfida continua tra viaggi nel tempo e conseguenti parentele multiple (Charlotte, per dirne una, contemporaneamente figlia e suocera di Noah), ha deciso di osare ancora e ha cambiato di nuovo tutto con l’introduzione dell’altro mondo, dimostrando che il come è importante tanto quanto il cosa

D’altronde, uno dei punti-chiavi di “Dark” è proprio che Jonas, Martha e gli altri sono intrappolati in un ossessivo, continuo, soffocante intreccio di vite: per esempio, Adam ed Eva, nonostante i nomi solenni con i quali si sono battezzati, sono così impegnati a cercare di raggiungere i propri obiettivi da ridurre il proprio figlio a un mezzo. Egli è solo l’“Origine”, dal quale tutti loro discendono, e né Adam né Eva ne pronunciano mai il nome: l’”Origine”, detto anche Lo Sconosciuto (interpretato da Claude Heinrich, Jakob Diehl e Hans Diehl), è cupo, taciturno e ben pochi caratteri permettono di attribuirgli una parvenza di umanità, quali la cicatrice del labbro leporino, l’incontro con il figlio Tronte e il fugace (e meccanico) abbraccio tra la sua versione più giovane con l’altra Martha, raggelata dal suo sguardo vuoto.

Poster originale della terza stagione - Fonte DarkWiki

La terza stagione ci lascia spaesati ed è proprio così che si sentono Jonas e Martha nel momento in cui incontrano (prima lui, nella seconda stagione, poi lei, nella terza) i loro alter ego più anziani: impossibile per i giovani protagonisti comprendere come nel futuro potranno perdersi fino a essere consumati dalle azioni imperdonabili che hanno voluto commettere in nome di un presunto “bene superiore”.

“Salvarli tutti” è quello che si ripetono Jonas e, poi, Martha: il primo, soprattutto, tenta disperatamente di “mettere a posto le cose” e le cicatrici che, da anziano, lo sfigurano sono il segno di quanto abbia viaggiato tra le epoche e, quindi, di quante volte abbia fallito. Come osserva Claudia, Kahnwald-Nielsen-Doppler-Tiedemann sono i nomi di un unico albero che continua a rinascere nel dolore, per bruciare ancora e non fiorire mai: Jonas/Adam e Martha/Eva, con i loro alleati, sono responsabili di un’infinita serie di atrocità che si perpetua in nome di un aleatorio bene superiore, per Adam il raggiungimento del Paradiso dove tutti i peccati saranno dimenticati, per Eva il mantenimento di un nodo dove invia i suoi attori, come un eterno spettacolo teatrale. In realtà, se proprio dobbiamo trovare una pecca in questa terza stagione, è il ruolo di Eva, in un dualismo un po’ forzato nel quale i membri dell’Erit Lux sono inviati nel flusso del tempo come un piccolo gruppo di supereroi (tutti con la stessa divisa) ad affrontare gli alleati di Adam: proprio Claudia spiega, alla fine, quanto il dualismo vita/morte, luce/oscurità sia artefatto e che la realtà abbia una profondità che due poli opposti, in eterna contrapposizione, non sono (più) in grado di vedere

L'albero genealogico dei due mondi: al centro, l'"Origine" - Fonte NoSpoiler.it

La triquetra sul taccuino dei Sic Mundus indica proprio l’esistenza di una “terza via”: il mondo originale, dal quale sono nati gli altri due, speculari, incastrati tra loro in un labirinto senza uscita. Responsabile della nascita dei mondi di Jonas e dell’altra Martha è H. G. Tannhaus: persi negli eterni intrecci dell’albero genealogico nato da (e che porta a) l’Origine, il vecchio scienziato viene spesso messo da parte durante le tre stagioni, come un narratore eccentrico inserito nella storia per dare un po’ di colore e giustificare la nascita della macchina del tempo nel mondo di Jonas. Invece, Tannhaus, con i suoi esperimenti, è colui che ha creato tutto, per errore, nel tentativo di “riportare indietro” dalla morte il figlio, la nuora e la nipote di pochi mesi, uccisi in un incidente d’auto al termine di un litigio con lui. Dunque, un brevissimo sfasamento temporale, di cui il vecchio scienziato non si è mai accorto, è stato sufficiente a creare uno strappo in quel terzo mondo, presentato agli spettatori in punta di piedi, ma che in realtà è il primo: gli altri due, le vite di tutti i personaggi coinvolti nelle stagioni precedenti, a partire da Jonas e Martha, sono l’anomalia, e non troveranno mai pace.

Nel conoscere la storia di Tannhaus, Adam/Jonas ed Eva/Martha hanno una seconda occasione: ritrovare in loro quell’amore che li aveva spinti, da adolescenti, a intraprendere il viaggio, il desiderio di salvare gli altri, la famiglia e gli amici, incrinato, a poco a poco, ma irrimediabilmente, dalla volontà di proteggere soprattutto l’altra/o, ma “rimettere le cose a posto” nel proprio mondo. Tannhaus, invece, perseguitato dal senso di colpa, ha come unico obiettivo la salvezza della sua famiglia: allo stesso modo, Claudia Tiedemann percorre lo spaziotempo in un pericoloso doppiogioco tra le due fazioni, ma solo in nome di sua figlia Regina, estranea alla discendenza dell’Origine. Alla fine, Jonas e Martha, in un commovente parallelismo con Adam ed Eva, riconciliati, riescono ad abbandonare i rimorsi e i rimpianti e per la prima volta prendono una decisione disinteressata, solo per gli altri (la famiglia Tannhaus, a loro quasi estranei) e non per se stessi. “Siamo noi la ragione per cui tutto accade in questo modo, per cui si ripete ogni cosa, per cui tu non lasci andare ciò che vuoi e non riesco a farlo neanche io: siamo io e te la falla, la falla nel Matrix” commenta amaro Jonas: l’ultima scena vede riuniti, attorno a un tavolo, gli unici personaggi non legati all’Origine e quindi esistenti anche nel “mondo originale” (Hannah, Katharina, Peter, Regina, Bernadette, Torben – per approfondire, vi rimandiamo all’articolo di Silvia Artana per NoSpoiler.it). Uno sbalzo di corrente, un’eco lontana accompagna la distruzione dei due mondi: alla fine, tutto il dolore intrappolato nel nodo si è dissolto.

"Siamo noi la ragione per cui tutto accade in questo modo, per cui si ripete ogni cosa, per cui tu non lasci andare ciò che vuoi e non riesco a farlo neanche io: siamo io e te la falla, la falla nel Matrix".
Jonas Kahnwald
"Das Paradies" ("Il Paradiso"), 3x08

La terza stagione è stata l’eccellente chiusura di una serie che fin dall’inizio ha mostrato di essere superiore a gran parte delle produzioni moderne: fin dalle prime scene si percepisce una nota più cupa rispetto alle due stagioni precedenti, complici soprattutto i costumi e il trucco. I personaggi dell’altro mondo sono più pesanti, più stanchi, ripresi con sguardo impietoso (un esempio, Hannah incinta di Ulrich, schiacciata dal peso di una relazione che l’altra lei cercava così disperatamente, ma che in questo mondo è il segno della sua condanna a essere infelice per l’eternità). D’altronde, non ci si poteva aspettare nulla di diverso da una stagione che, presentata come la conclusiva, mostra come le vite di (quasi) tutti non fossero altro che un’illusione, un’anomalia. La stragrande maggioranza degli avvenimenti delle prime due stagioni sono spiegati nelle ultime puntate, senza lasciare quelle fastidiose linee narrative aperte che in moltissime serie si tendono a nascondere con maggiore o minore abilità per lasciarsi una via libera nel caso il successo ottenuto pretenda a gran voce altre stagioni. Tutto giunge a conclusione ed è un finale amaro, con “gli eroi” dissolti in una nebbia dorata sulle note di “What a Wonderful World” (nella versione di Soap&Skin): in “Dark” non sopravvivono i migliori, ma coloro che, per caso, non sono i discendenti dell’Origine. Certo, la scomparsa (o meglio, il ritorno alla giusta non-esistenza) dei personaggi marchiati in questo modo quasi biblico rende i pochi “sopravvissuti” liberi dalla schiavitù deterministica del nodo tra i due mondi, ma non assicura loro la felicità. Peter, scomparsa Charlotte (in quanto figlia di Elisabeth e Noah), può vivere la sua relazione con Bernadette; Regina sembra felice e guarita dal cancro (o magari nemmeno mai ammalata), ma probabilmente non conoscerà mai Aleksander (e quella tra loro è forse l’unica relazione sana e serena di tutta la serie, nonostante le ombre del passato di lui); Katharina e Hannah, senza l’adultero Ulrich, possono vivere ognuna la propria vita, ma senza i figli, motivo di forza soprattutto per la prima, e sono più segnate da quella disperata malinconia che per Katharina è la “prigionia” a Winden e per Hannah, che pure ha dimostrato un attaccamento minore alla propria famiglia, è la “perdita” di Jonas, percepita a livello inconscio durante l’ultima scena.

“Dark” riprende il tema del viaggio nel tempo, soprattutto il viaggio “nel passato”, per “rimettere a posto le cose”, rimediare alle tragedie, agli errori e, di conseguenza, al dolore che, per i personaggi di questa serie, è esistenziale, perché la loro stessa vita è innaturale.

La storia ha quindi un’impronta che oscilla tra la filosofia di Søren Kierkegaard e il pessimismo di Arthur Schopenhauer (non a caso in esergo alla terza stagione). “Dark” spiega con un’anomalia spaziotemporale la condanna al fallimento, al dolore e alla morte dei protagonisti (straziante la linea narrativa di Ulrich Nielsen, per dirne una): in questo senso, le azioni di Jonas e Martha sono un disperato tentativo freudiano di “riscrivere il passato” (vedi il saggio di Sigmund Freud, “Il poeta e la fantasia”, 1907), frutto di un “risentimento” nietzschiano, alla base del quale troviamo la non-accettazione dell’uomo nei confronti della vita, fuori dal suo controllo.

L’ossessione del “controllo sul tempo” d’altronde motiva le azioni di Adam ed Eva e dei rispettivi alleati: una specie di “polizia temporale” che ha illustri predecessori, quali Isaac Asimov (“La Fine dell’eternità”, “The End of Eternity”, 1955), Fritz Leiber (“Il Grande Tempo”, “The Big Time”, 1958), Poul Anderson (“Le gallerie del tempo”, “The Corridors of Time”, 1965).

"È certo che l'uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere ciò che vuole".
Arthur Schopenhauer
"Deja-vu" ("Déjà-vu"), 3x01

L’interpretazione del ruolo di Adam ed Eva può anche essere biblica: ne sono un (ovvio) indizio l’identità che gli alter ego di Jonas e Martha hanno assunto e il nome dello stesso protagonista, Jonas/Giona, il profeta ribelle a Dio (e il nostro Jonas lo è al destino, e quindi al tempo…). Sottolineiamo come, nella Bibbia, Giona non abbia pietà per la città di Ninive, per la quale invocherebbe l’Apocalisse… (per approfondire vi consigliamo l’articolo di Jacopo Troise per CineFacts.it).

Giona e la balena, miniatura cinquecentesca - Fonte Wikipedia

Il viaggio nel tempo grazie a una macchina (la versione “a valigetta” di Tannhaus, la sfera dell’altra Martha) è una degli scenari tipici della fantascienza fin da “La macchina del tempo” (“The Time Machine”, 1888 nella versione originale dal titolo “The Chronic Argonauts”, 1895 in quella attuale) di H. G. Wells e “Sylvie e Bruno” (“The Story of Sylvie and Bruno”, 1889, versione definitiva 1893) di Lewis Carroll. La capacità anticipatrice della letteratura di fantascienza si intersecò poi con le teorie di Albert Einstein sulla relazione tra velocità e tempo, trasformando l’invenzione di Wells e Carroll in una (per quanto remota) possibilità. Se il viaggio nel tempo nel futuro è stato meno esplorato, perché più affine al quell’“immaginare mondi” che è già proprio della fantascienza, il viaggio nel passato ha visto un fiorire di romanzi, racconti, film, che ben presto hanno dovuto affrontare il grande problema dei paradossi temporali: uno di questi è spiegato bene dal mitico Doc Brown in “Ritorno al futuro – parte II” (1989), quando cerca di far capire al giovane Marty perché, per cambiare il 2015, sia necessario tornare al 1955 e non al 1985.

Naturalmente, il problema era già stato affrontato ben prima del film di Robert Zemeckis: in particolare, Clifford Simak (“Oltre l’invisibile”, “Time and Again”, 1951) e Robert Heinlein (“La porta sull’estate”, “The Door into Summer”, oppure “Tutti voi zombie”, “All You Zombies”, entrambi del 1959), sono stati maestri dei paradossi temporali. “Dark” si basa proprio sul paradosso del vivere un anello temporale chiuso (in due universi speculari), con tutti i discendenti de Lo Sconosciuto costretti a compiere sempre le stesse azioni, perché influenzati dal passato (immutabile) e dal futuro (anch’esso immutabile): in generale, potremmo dire che la fantascienza ha risolto prima della fisica quei quesiti sui quali si erano interrogati prima i filosofi. Un esempio è Gottfried Wilhelm von Leibniz, secondo il quale non è possibile l’esistenza di due monadi identiche, dato che occuperebbero anche lo stesso spazio (“indiscernibilità degli uguali”): “Dark” ne propone una soluzione borgesiana (vedi il racconto di Jorge Luis Borges, “25 agosto 1983”, “25 de Agosto 1983”, 1980), con i confronti tra Adam e Jonas (ed Eva e Martha), durante i quali Jonas conosce il sé più anziano come il nemico e giura che non commetterà i suoi errori né diventerà mai come lui.

Nel film di Peter Weir "Master & Commander - Sfida ai confini del mare" ("Master and Commander: The Far Side of the World", 2003), l'ufficiale Hollom (Lee Ingleby) viene spinto al suicidio in quanto identificato dalla ciurma come Giona - Fonte ScreenWEEK
"Si nasce per caso in un universo governato dal caso. Le nostre vite sono decise da combinazioni casuali di geni. Tutto quello che accade, accade per caso. Causa ed effetto sono sofismi. Esistono solo cause apparenti che portano a effetti apparenti, e dato che nulla dipende realmente da qualcos’altro, navighiamo ogni giorno in oceani di caos dove niente è prevedibile, nemmeno il futuro più prossimo, l’immediato dell’istante successivo. Voi ci credete? Se è così, vi compiango perché la vostra dev’essere una vita triste, spaventosa e sconsolata".
Lew Nichols
Da “L’uomo stocastico” di R. Silverberg, Urania Collezione 085, febbraio 2010

Il viaggio nel tempo si lega alla possibilità di prevedere il futuro: in “Dark”, tutto è scritto nel misterioso libro con la triquetra incisa sopra, del quale Noah cerca disperatamente le ultime pagine (che gli riveleranno l’identità della figlia Charlotte). Se il futuro è predeterminato è possibile prevederlo, in modo scientifico o con tecniche più “esoteriche”: se, al contrario, ciò che avverrà è solo uno dei futuri possibili (come sostiene la teoria del multiverso), le cose cambiano. La prima strada è stata seguita, per esempio, da Robert Silverberg, che, ne “L’uomo stocastico” (“The Stochastic Man”, 1975), ci racconta l’addestramento di Lew Nichols nel campo delle previsioni “post-stocastiche” (quindi oltre la prevedibilità matematica) che tuttavia mostrano solo un futuro (con qualche incertezza iniziale), l’unico che si avvererà, indipendentemente dagli sforzi del veggente. All’inizio, Lew si interrogherà su come modificare il futuro, colpito dalla passività del suo maestro, Martin Carvajal, che ha già accettato l’impossibilità di cambiarlo: come commenterà quest’ultimo davanti alle sue proteste, “tutti pensiamo di essere l’eccezione”.

Un’alternativa al determinismo a tutti i costi è l’opera di Robert J. Sawyer, in particolare “Avanti nel tempo” (“Flashforward”, 1999): come in “Dark” (l’incidente alla centrale nucleare di Winden e l’errore di Tannhaus), lo sfasamento spaziotemporale è dovuto a un involontario intervento umano, in questo caso un esperimento al CERN di Ginevra sulla ricerca del bosone di Higgs. Nel romanzo, un cronolampo spinge avanti la coscienza di tutta l’umanità, con ricadute globali e individuali: i due protagonisti, Lloyd Simcoe e Michiko Komura, optano per due interpretazioni opposte, ma ugualmente valide, vale a dire il determinismo (Simcoe) e la teoria del caos (Komura). Sawyer non dà quindi una risposta certa alla prevedibilità del futuro: per quanto ci riguarda, attendiamo il momento in cui potremo meditare sul flusso di tachioni, come il Dottor Manhattan di Alan Moore.

La nostra recensione-fiume di “Dark” si conclude qui: se volete approfondirne il lato fantascientifico, vi consigliamo “Guida alla letteratura di fantascienza”, monumentale guida a cura di Carlo Bordoni, edita da Odoya Edizioni (2013), che trovate per esempio qui.